Centro Scaligero degli Studi Danteschi

Sabato 14 Febbraio 2015, ore 17.00, presso la Biblioteca Capitolare (piazza Duomo, 19)

Lectura Dantis - Piccarda, Costanza e l'aristocrazia dello spirito (Paradiso, III)

prof. Michelangelo Zaccarello (Università degli Studi di Verona)

 Con felice intuizione, Michelangelo Picone ha scritto: «Il microcosmo di una famiglia fiorentina, come quella dei Donati, serve pertanto da supporto alla raffigurazione dell’intero macrocosmo cristiano: dall’inferno di Corso al purgatorio di Forese, fino ad arrivare al paradiso di Piccarda». L’incontro con quest’ultima, nel cielo della Luna, è prefigurato da un’esplicita domanda a Forese (Purgatorio, XXIV, 10), e completa una grandiosa allegoria della condizione umana: tratteggiata nella parabola ultraterrena dei tre fratelli, dalla orribile dannazione di Corso passa per il lungo, appassionato dialogo purgatoriale con l’amico di gioventù, e approda alla glorificazione di Piccarda, non a caso strappata ai voti monastici proprio da Corso. Ma l’analogia con Forese è di particolare evidenza e s’impone fin dal primo incontro con la sorella: come il pellegrino aveva fatto fatica a riconoscere il volto dell’amico sfigurato dalla magrezza, così Piccarda appare in contorni sfumati e viene riconosciuta come vera sustanza solo dopo l’introduzione di Beatrice.


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In questa prospettiva, è bene ricordare che due donne dei Donati sono elevate da Dante a modello di condotta muliebre, la Nella vedova di Forese per la vita attiva e secolare, e appunto Piccarda per quella monastica e contemplativa, con riproposizione del dualismo che accompagna le figure femminili dantesche fin dal sogno di Lia e Rachele (Purgatorio, XXVII), dall’Eden di Matelda e Beatrice, e che risale naturalmente alla matrice evangelica delle sorelle Marta e Maria (Luca, 10, 38-42). Il particolare rilievo simbolico dato a una famiglia, delle grandi di Firenze ma pur sempre borghese, culmina nell’accostamento a una figura della grande  nobiltà feudale, anzi regale (Costanza d’Altavilla è figlia di Ruggero II di Sicilia, sposa di Enrico VI di Svevia). Nella dottrina dantesca sui voti monacali e sulla relativa, forzata inadempienza, questa lectura intende sviluppare in modo particolare questo parallelismo, nel più ampio contesto dell’idea dantesca di aristocrazia dello spirito (recentemente oggetto di una complessiva, importante sistemazione da parte del compianto Umberto Carpi), e di una significativa equiparazione di paradigmi morali aristocratici e borghesi.
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