Il Centro con La Lectura Dantis Scaligera si propone di contribuire allo sviluppo e all’apprendimento degli studi danteschi in vista del Settimo Centenario della morte del Poeta.
Sabato 07 Dicembre 2013, ore 17.00, presso la Biblioteca Capitolare (piazza Duomo, 19)
prof. Marco Ariani (Università degli Studi Roma Tre)
Il canto XVIII mette in scena il motivo della luce dipinta: la divina bellezza raggia in Beatrice e, «vincendo» Dante «col lume d’un sorriso», lo pone in una condizione di «affetto» contemplativo potenziandone l’«affetto ne la vista», in modo tale che il pellegrino possa ammirare un nuovo miracolo della paradisiaca signatura rerum.
Qui è addirittura il Deus Pictor («Quei che dipinge lì») ad agire direttamente, incidendo nel cielo di Giove un’immane aquila figurata dagli spiriti dei giusti: l’iniquità del mondo viene così visualizzata in un «visibile parlare» che denuncia l’ingiustizia come dissomiglianza, lesione al processo di assimilazione al modello divino. La «bella image» del divino Bestiario si fa portavoce di figurazioni e simboli altrimenti non dicibili con semplici parole, il «fummo» che «vizia» il «raggio» di Giove insinua nella luce del Paradiso l’oscura stortura dell’iniquità come sviamento dall’unico Fons Iustitiae, al quale devono conferire «color che sono in terra/tutti sviati dietro al malo essemplo!».
Come nei precedenti canti dominati dalla condanna di Firenze affatturata dalla luciferina maledizione del denaro, anche nel XVIII la luce del Paradiso sembra offuscarsi all’evocazione dell’immagine del Giovanni Battista impresso sul fiorino: al centro della terza cantica Dante ha voluto spalancare, per l’ultima volta, l’abisso dell’avarizia come intorbidimento della luce divina. Ma è l’ultima volta, nella Commedia: oltre il XVIII, ascoltata la tremenda intemerata dell’aquila contro i principi d’Europa, Dante salirà finalmente incontro al Fons Luminis senza più lasciarsi turbare dall’«aiuola che ci fa tanto feroci».
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